DILLINGER E’ MORTO

dillinger-e_-morto_Insieme a “La grande abbuffata” uno dei due film di Ferreri considerati all’unanimità i suoi capolavori dalla storiografia cinematografica italiana (quella estera stranamente è meno accorta nei confronti di Ferreri), “Dillinger è morto” costituisce apparentemente il più leggero della coppia.
Felicissimo esempio di dilatazione temporale del racconto, in ciò ancora modernissimo (e perfettamente in sintonia col contesto del cinema moderno dei ’60), “Dillinger è morto” non è in realtà ciò che sembra di essere ossia un semiserio inno alla liberazioni dalle costrizioni della società e della vita quotidiana.
La chiave di lettura sta nel finale: nell’ultima inquadratura, già sulla barca assunto come cuoco sulla rotta per Tahiti, Piccoli si sofferma con espressione imbambolata e contenta sulla allettante figura della sua nuova padrona.
L’uomo destinato a non avere scampo dalla donna.
Non è maschilismo ma è il tragico che si nasconde dentro la commedia.
Questo borghese piccolo piccolo non si è affatto liberato, come crede, dalle costrizioni della civiltà, della società, della famiglia. Non c’è scampo alle costrizioni della relazione (tra i sessi, in primis). La libertà totale (quella cui aspirano anche i personaggi del Fascino discreto di buneliana memoria) è un’illusione.
E questo discorso di Ferreri, semiserio come tutto il suo cinema, trascende il contesto sociale dei suoi anni e della nostra civiltà cosiddetta borghese. E’ davvero metafora universale. Swiftiana, se vogliamo.
Perciò forse davvero Ferreri è un grandissimo.


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